Se sfogliamo i giornali nei mesi estivi, ci accorgiamo subito di un leitmotiv: le ondate di calore, la siccità, i record di temperature, la desertificazione. Il caldo estremo è diventato una calamità da prima pagina, capace di occupare ore di talk show e di generare ansie collettive. Eppure c'è un dato che sembra passare inosservato, o che viene semplicemente ignorato: nel mondo si muore molto di più di freddo che di caldo.

Questa verità, per quanto scomoda, dovrebbe ribaltare la narrazione catastrofista concentrata esclusivamente sull'aumento delle temperature. Secondo uno studio pubblicato sulla prestigiosa rivista The Lancet, le morti attribuibili al freddo sono circa 4,6 milioni l'anno, mentre quelle legate al caldo si fermano a circa 0,5 milioni. Parliamo di un rapporto di quasi dieci a uno: per ogni persona che muore di caldo, ce ne sono dieci che muoiono di freddo.
Eppure, nell'immaginario collettivo, sembra che il freddo non esista più. I notiziari, salvo rari casi di tempeste di neve eccezionali o bufere polari, dedicano pochissimo spazio alle conseguenze mortali del freddo, quando invece la sua incidenza è drammaticamente superiore a quella delle ondate di calore. Non solo: il freddo causa anche più disagi e costi per la salute pubblica, soprattutto tra le fasce di popolazione più fragili come anziani, bambini e senzatetto.
I numeri parlano chiaro
Lo studio The Lancet evidenzia come tra il 2000 e il 2019 le morti globali attribuibili al freddo siano rimaste molto più alte di quelle attribuibili al caldo, nonostante il riscaldamento globale. La proporzione resta stabile: il freddo continua a mietere più vittime di qualunque ondata di calore. Questo fenomeno è particolarmente evidente nei paesi temperati, dove l'inverno, anche a temperature non artiche, può diventare micidiale.
Basta pensare a quanto incidono le polmoniti, le bronchiti croniche e le complicanze cardiovascolari legate alle basse temperature. In molte città europee, la povertà energetica porta famiglie intere a dover scegliere se pagare l'affitto o scaldarsi. Risultato? Morti silenziose, lontane dai riflettori, ma statisticamente molto più rilevanti.
Non tutti i mali vengono per nuocere: il riscaldamento globale potrebbe essere un bene
Alla luce di questi numeri, appare evidente una considerazione quasi paradossale: un clima leggermente più caldo potrebbe salvare milioni di vite. Non si tratta di negare gli effetti negativi del cambiamento climatico, ma di guardare alla questione con onestà intellettuale: se l'innalzamento delle temperature riduce gli inverni rigidi, allora la mortalità legata al freddo potrebbe diminuire drasticamente.
Un aspetto che viene raramente discusso è che la storia del pianeta Terra è una storia di cambiamenti climatici ciclici. Piccole variazioni di temperatura hanno sempre avuto un impatto notevole sulla vivibilità di intere regioni. Durante il periodo caldo medievale, ad esempio, la Groenlandia era coltivabile. Oggi, uno scenario di riscaldamento controllato potrebbe rendere più fertili vaste zone attualmente improduttive, come la tundra siberiana o le terre dell'Artico canadese.
Eventi estremi: meno morti nonostante il sensazionalismo
Un altro luogo comune diffuso dai media è che il riscaldamento globale stia causando un aumento esponenziale delle vittime di eventi climatici estremi. Eppure i dati reali raccontano un'altra storia. Secondo lo studio pubblicato da Climate At A Glance, i morti globali per eventi climatici estremi sono passati da quasi 500.000 all'anno nel 1920 a poco più di 7.000 negli ultimi anni.
Questa riduzione impressionante (-98% di morti) si spiega con la capacità dell'uomo di adattarsi. Migliori previsioni meteo, infrastrutture più sicure, sistemi di evacuazione più efficienti, interventi di protezione civile: tutti questi fattori hanno contribuito a ridurre drasticamente il rischio per la popolazione. L'essere umano, insomma, è perfettamente in grado di convivere con un clima mutevole, se dotato degli strumenti giusti.
Rendere fertili le terre fredde e combattere la desertificazione
Un altro effetto positivo di un lieve aumento delle temperature è la possibilità di rendere coltivabili territori finora improduttivi. Zone come la Siberia, l'Alaska o la parte più settentrionale della Scandinavia potrebbero diventare nuovi granai del mondo. Un allungamento della stagione agricola permetterebbe più raccolti, più varietà di colture e meno costi per il riscaldamento delle serre.
Riguardo alla desertificazione, non è affatto detto che debba essere una condanna irreversibile. Tecniche come l'irrigazione a goccia, la riforestazione mirata, le coltivazioni resistenti alla siccità e l'agricoltura rigenerativa possono contrastare l'aridità dei terreni. L'innovazione tecnologica e la ricerca agronomica stanno già sviluppando varietà di piante in grado di crescere in condizioni proibitive, trasformando quello che oggi appare come un limite in una nuova opportunità.
L'assurdità di un'Europa paladina del clima globale
Qui arriva la parte forse più controversa, ma doverosa: pensare che l'Europa, da sola, possa invertire la tendenza del riscaldamento globale è un'illusione. Obbligare intere popolazioni a cambiare auto, installare pompe di calore costosissime, sostituire caldaie perfettamente funzionanti, bloccare i diesel in città senza alternative valide, non è solo economicamente insostenibile: è un colpo durissimo alla qualità della vita.
Intanto, giganti come India, Cina e molti paesi emergenti continuano ad aumentare le proprie emissioni senza remore. Le economie in crescita vogliono garantire standard di vita migliori ai propri cittadini e non rinunceranno facilmente al carbone o ai combustibili fossili a basso costo. Pensare di cambiare il destino del clima globale ignorando questa realtà è pura follia.
La vera strategia vincente
La storia dell'evoluzione umana insegna una lezione fondamentale: in natura non sopravvive il più forte, ma chi si adatta meglio. Investire risorse ingenti per adattarsi a un nuovo paradigma climatico è la scelta più sensata e pragmatica. Significa, per esempio, lavorare sul territorio per prevenire le alluvioni, tenere sotto stretto controllo frane e smottamenti, rafforzare le difese idrogeologiche.
In alcuni casi, sarà inevitabile spostare interi quartieri o villaggi da zone ad alto rischio a luoghi più sicuri. Significa progettare città resilienti, con sistemi di drenaggio efficienti, aree verdi che abbassano le temperature urbane e infrastrutture flessibili. In parallelo, l'innovazione tecnologica deve puntare a migliorare l'efficienza energetica senza imposizioni irrazionali e senza gravare sui bilanci delle famiglie.
Il futuro è di chi sa adattarsi
La narrativa dominante ci racconta un pianeta sul baratro, vittima di un caldo infernale che minaccia la nostra esistenza. Ma i dati dicono altro: il freddo resta il killer numero uno, e un riscaldamento controllato potrebbe essere un alleato inatteso. I morti per eventi estremi sono diminuiti drasticamente grazie alla nostra capacità di adattamento, e sarà questa capacità a fare la differenza anche nei prossimi decenni.
Invece di rincorrere illusioni ideologiche, l'Europa dovrebbe smettere di martirizzare i propri cittadini con politiche climatiche spesso inefficaci e costosissime. La vera via è l'adattamento intelligente, la prevenzione, l'innovazione e il buon senso. In fondo, l'unica vera costante nella storia dell'uomo è la sua straordinaria resilienza di fronte a un ambiente in continuo mutamento.
Fonti:
The Lancet - Mortality risk attributable to high and low ambient temperatures
Climate At A Glance - Deaths from Extreme Weather
Our World In Data - Natural Disasters
IPCC Sixth Assessment Synthesis Report
Nature Climate Change - Climate extremes and health impacts
World Health Organization - Climate change and health
BMJ - Excess winter deaths and cold housing
Eurostat - Excess mortality statistics
IPCC Special Report on the Ocean and Cryosphere
NASA - Climate and Weather
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