Le relazioni tra Israele e le istituzioni occidentali non sono nate da un giorno all'altro. Hanno origini profonde, radicate in un contesto storico che risale alla fine della Seconda Guerra Mondiale. La creazione dello Stato di Israele nel 1948 fu il risultato di una lunga pressione politica e diplomatica, in particolare da parte del movimento sionista ...

... e di governi occidentali che vedevano nella nascita di uno Stato ebraico una forma di riparazione morale dopo l'Olocausto. Ma la genesi di questo legame va ben oltre il sentimento di colpa europeo.
Fin da subito, Israele si presentò come un alleato naturale dell'Occidente nel cuore del Medio Oriente, una regione instabile ma strategicamente fondamentale. La Guerra Fredda rese questa alleanza ancora più solida: mentre l'Unione Sovietica si avvicinava a paesi arabi come l'Egitto e la Siria, gli Stati Uniti rafforzavano il loro sostegno a Israele, considerato un bastione democratico e capitalista circondato da governi autoritari e potenzialmente filocomunisti.
Il ruolo strategico di Israele in Medio Oriente
Il Medio Oriente è sempre stato una polveriera geopolitica, ma anche una delle regioni più ricche di risorse energetiche del pianeta. Chi controlla il Medio Oriente, controlla il petrolio. Chi controlla il petrolio, ha un'influenza economica e politica globale. È in quest'ottica che va compresa l'importanza strategica di Israele per gli Stati Uniti e, in misura minore, per l'Europa.
Israele non è soltanto un alleato militare: è un vero e proprio centro di intelligence, innovazione tecnologica e baluardo armato. Il Mossad, il servizio segreto israeliano, è tra i più sofisticati al mondo. Le tecnologie militari sviluppate dallo Stato ebraico vengono utilizzate anche dalle potenze occidentali. Inoltre, Israele ha più volte agito come ''poliziotto'' informale del Medio Oriente: non è un caso che attacchi preventivi, operazioni coperte e sabotaggi in paesi come Iran, Siria e Libano siano spesso condotti con la tacita approvazione (se non diretta collaborazione) degli USA.
Il dogma della sicurezza: Israele come ''vittima permanente''
Un altro elemento chiave è la narrativa. Israele si è costruito l'immagine di ''piccolo Stato sotto assedio'', costantemente minacciato dai suoi vicini arabi e islamici. Questa narrazione ha attecchito profondamente nell'opinione pubblica occidentale e nelle classi politiche. Qualunque azione militare israeliana viene letta attraverso il filtro della ''difesa'': anche quando si tratta di bombardamenti massicci su Gaza o operazioni in territori sovrani come quello iraniano.
La retorica della ''guerra al terrorismo'' post-11 settembre ha rafforzato ulteriormente questa visione. Israele viene spesso visto come parte integrante della lotta globale contro l'estremismo islamico, anche se in realtà le sue operazioni hanno molto più a che vedere con interessi geopolitici e demografici che con reali minacce terroristiche.
Gaza: un laboratorio di guerra (e un problema di coscienza)
Ciò che sta accadendo a Gaza è forse la più evidente contraddizione morale delle istituzioni occidentali. Gli attacchi israeliani, spesso sproporzionati, causano migliaia di morti civili, distruzione di infrastrutture essenziali e condizioni di vita disumane. Eppure, le reazioni occidentali sono generalmente blande, se non addirittura giustificazioniste.
Perché? Perché Gaza è vista, anche da molti politici europei e americani, come un ''problema irrisolvibile''. L'idea che Hamas sia una minaccia terroristica reale e permanente serve a legittimare ogni tipo di operazione militare. Ma c'è di più: Gaza è anche un banco di prova per nuove tecnologie belliche, droni, sistemi di difesa e armi intelligenti. Le guerre ''a bassa intensità'' condotte da Israele servono, paradossalmente, a rafforzare l'industria bellica occidentale, che da questi test trae profitto e know-how.
Il caso Iran: la guerra preventiva come strategia autorizzata
L'attacco di Israele contro obiettivi iraniani con la giustificazione di un'ipotetica corsa agli armamenti nucleari è stato uno spartiacque. Israele ha agito senza alcuna autorizzazione internazionale, violando la sovranità di un altro Stato e scatenando il rischio di un conflitto regionale. Ma l'Occidente non ha condannato apertamente l'azione, anzi: in molti ambienti politici e militari, è stata considerata ''necessaria''.
Il motivo è semplice: l'Iran rappresenta, nella visione occidentale, il vero nemico ideologico e strategico. È l'antitesi di Israele sotto ogni punto di vista: teocrazia islamica, anti-americano, filo-russo e attivo nel sostegno a movimenti considerati terroristici. In questo contesto, Israele agisce come ''braccio armato'' dell'Occidente, compiendo azioni che né gli USA né l'Europa possono fare direttamente senza scatenare uno scontro globale.
Il peso dell'AIPAC
Dietro il sostegno incondizionato a Israele c'è anche un'enorme macchina di lobbying. L'AIPAC (American Israel Public Affairs Committee) è tra le lobby più potenti di Washington. Ha una capacità di pressione tale da determinare scelte legislative, orientare candidati e indirizzare fondi elettorali.
Ma il fenomeno non è solo americano. In Europa esistono numerosi gruppi pro-Israele che operano sia in ambito istituzionale che mediatico. Influenzano la stampa, le università, i think tank. Chi esprime posizioni critiche nei confronti di Israele rischia la delegittimazione, l'accusa di antisemitismo, l'isolamento accademico e politico.
Cosa dà Israele in cambio
Il sostegno a Israele non è un atto di generosità, ma uno scambio. Israele offre in cambio:
- Tecnologie militari all'avanguardia: droni, sistemi di difesa come Iron Dome, spyware come Pegasus.
- Informazioni d'intelligence su attività terroristiche, reti jihadiste, traffico d'armi.
- Accesso a tecnologie informatiche e di cybersecurity.
- Una base strategica nel cuore del Medio Oriente, da cui operare in caso di crisi.
Questo pacchetto è estremamente vantaggioso per le potenze occidentali, che ottengono molto senza esporsi direttamente. Israele diventa così un ''outsourcer'' della guerra e della sorveglianza.
La retorica morale e il doppio standard occidentale
Quando si parla di diritti umani, democrazia e legalità internazionale, le istituzioni occidentali sono solitamente molto rigide. Ma quando si tratta di Israele, i criteri sembrano cambiare radicalmente. Le risoluzioni ONU vengono ignorate, le indagini sui crimini di guerra ostacolate, le condanne formali sostituite da vaghi appelli alla ''moderazione''.
Questo doppio standard mina la credibilità dell'Occidente. Mentre si impongono sanzioni alla Russia per l'invasione dell'Ucraina, si continua a fornire armi e sostegno diplomatico a Israele anche quando attacca obiettivi civili a Gaza o viola la sovranità iraniana.
Una fedeltà che ha un prezzo
Il sostegno incondizionato a Israele da parte delle istituzioni occidentali è frutto di un intreccio complesso di storia, strategia, ideologia, tecnologia e potere economico. Non si tratta solo di amicizia o affinità culturale, ma di interessi concreti e calcoli geopolitici. Israele offre all'Occidente una serie di vantaggi che lo rendono, agli occhi di molti, ''irrinunciabile''.
Ma questa fedeltà ha un prezzo: la perdita di credibilità morale, la complicità in crimini di guerra e il rischio di conflitti regionali. La vera domanda, quindi, non è perché l'Occidente difenda Israele. La vera domanda è: fino a quando potrà permetterselo?
I media occidentali: tra censura implicita e narrazione selettiva
Uno degli elementi più cruciali nel sostegno sistematico a Israele è il ruolo dei media. I grandi gruppi editoriali occidentali – giornali, televisioni, siti d'informazione – presentano quasi sempre i conflitti che coinvolgono Israele da una prospettiva favorevole allo Stato ebraico. La violenza esercitata da Israele viene spesso definita come ''reazione'' o ''risposta'', anche quando si tratta di attacchi pianificati o offensivi a freddo, come nel caso dell'Iran o delle incursioni a Gaza.
Questo orientamento non è casuale. Le linee editoriali vengono influenzate da diversi fattori:
- Presenza di lobby o gruppi di pressione che minacciano ritorsioni legali o commerciali.
- Paura di essere accusati di antisemitismo, anche quando si fa una legittima critica politica.
- Opportunismo politico e culturale: chi ''sta con Israele'' gode di una sorta di impunità morale.
Tutto ciò produce una narrazione selettiva che tende a umanizzare le vittime israeliane e a spersonalizzare quelle palestinesi, o peggio, a ignorarle. I media contribuiscono così a mantenere l'opinione pubblica in uno stato di parziale disinformazione.
La paura dell'accusa di antisemitismo: una barriera al dibattito
Uno degli strumenti più potenti usati per zittire le critiche a Israele è l'equazione tra antisionismo e antisemitismo. Anche se i due concetti sono profondamente diversi – l'uno è una posizione politica, l'altro è un pregiudizio razziale – vengono spesso confusi deliberatamente.
Questo accade perché:
- L'accusa di antisemitismo ha un forte impatto reputazionale.
- È facile da strumentalizzare mediaticamente.
- È difficile da difendersi, perché implica una condanna morale.
Molti politici, giornalisti, accademici e attivisti si autocensurano per timore di finire nel mirino. Le istituzioni occidentali, nel dubbio, preferiscono evitare di prendere posizione. Così, il dibattito pubblico viene limitato e il sostegno a Israele resta incontrastato.
La diplomazia europea: tra ipocrisia e paralisi
Se gli Stati Uniti sono apertamente schierati a favore di Israele, l'Unione Europea si muove su un crinale più ambiguo. Da un lato, proclama la necessità di rispettare il diritto internazionale, i diritti umani e le risoluzioni ONU. Dall'altro lato, continua a mantenere relazioni economiche, diplomatiche e militari con Israele.
Questo doppio atteggiamento si traduce in:
- Dichiarazioni di principio senza conseguenze pratiche.
- Rifiuto di sanzionare Israele anche in presenza di violazioni documentate.
- Scarsa protezione per ONG e giornalisti che operano nei Territori Occupati.
La verità è che l'UE ha paura di prendere una posizione netta per non compromettere i rapporti con Washington e per non spaccarsi al suo interno: paesi come Germania, Austria e Ungheria sono estremamente filo-israeliani, mentre altri come Spagna, Irlanda e Svezia mostrano aperture verso i diritti dei palestinesi. Il risultato? Una paralisi diplomatica che favorisce lo status quo.
Il fattore elettorale: perché stare con Israele conviene ai politici
Sostenere Israele non è solo una questione geopolitica o ideologica. È anche una mossa utile sul piano elettorale. Negli Stati Uniti, ad esempio, ottenere l'appoggio delle lobby pro-Israele può significare accesso a fondi elettorali milionari e sostegno mediatico. Al contrario, criticare Israele può portare a una campagna diffamatoria capace di distruggere carriere politiche.
Lo stesso accade, sebbene in forma più sottile, anche in Europa:
- I partiti moderati evitano lo scontro con Israele per non essere etichettati come ''estremisti''.
- I partiti di destra vedono in Israele un esempio di nazione forte, identitaria e ''intransigente'' con l'islamismo.
- I partiti di sinistra sono divisi: una parte è vicina alle cause palestinesi, ma teme di alienarsi l'elettorato ebraico o liberal.
Così, il sostegno a Israele diventa una scelta di convenienza più che di principio.
L'importanza di Israele come proxy militare dell'Occidente
Israele svolge anche un ruolo fondamentale come ''proxy'', ovvero come attore che agisce per conto di altri. Gli Stati Uniti non possono (o non vogliono) intervenire direttamente in certe situazioni? Israele lo fa. L'Occidente non può colpire apertamente infrastrutture iraniane? Lo fa Israele, senza subire particolari conseguenze diplomatiche.
Questa funzione di ''esecutore non ufficiale'' rende Israele estremamente utile:
- Può agire rapidamente senza passaggi parlamentari o democratici.
- Ha servizi segreti aggressivi e operativi a livello globale.
- Ha meno vincoli etici e mediatici rispetto alle democrazie occidentali.
In cambio, riceve finanziamenti, forniture militari, scudi diplomatici e impunità internazionale.
Israele come laboratorio per le democrazie autoritarie
Un aspetto spesso ignorato è il ruolo di Israele come modello di democrazia ''muscolare'' o ''autoritaria''. In un'epoca in cui molti paesi occidentali stanno vivendo derive securitarie, lo Stato israeliano appare come un esempio di gestione ferrea dell'ordine pubblico, sorveglianza di massa e controllo del dissenso.
Israele mostra come sia possibile:
- Vivere in una democrazia formale, ma esercitare un controllo totale su alcune popolazioni (es. palestinesi).
- Legittimare l'uso sistematico della forza in nome della sicurezza.
- Giustificare la discriminazione su base etnica o religiosa come necessità strategica.
Questo modello piace a molti governi occidentali, che lo osservano, lo studiano e in alcuni casi lo imitano.
Verso quali scenari stiamo andando?
Il sostegno incondizionato a Israele, unito al silenzio sui suoi abusi, sta creando le condizioni per una serie di crisi future:
- Un'ulteriore radicalizzazione del mondo arabo e musulmano, che vede nell'Occidente un complice.
- La perdita di credibilità morale dell'Occidente nei confronti del Sud globale.
- Il rischio di una guerra regionale tra Israele, Iran, Hezbollah e altri attori armati.
Israele, dal canto suo, sta diventando sempre più militarizzato, isolato e dipendente dal supporto esterno. Se questo sostegno dovesse venire meno, la sua posizione strategica potrebbe crollare rapidamente.
Alleanza a prova di bomba… ma fino a quando?
L'Occidente difende Israele non per affinità ideologiche o morali, ma per calcoli freddi e interessi geopolitici. Israele è utile, strategico, efficace e disposto a fare il ''lavoro sporco'' che gli altri non vogliono fare. In cambio, riceve protezione, legittimazione e silenzio.
Ma questa alleanza ha un prezzo alto:
- Distrugge la coerenza dei valori occidentali.
- Espone l'Occidente a nuovi nemici e risentimenti.
- Trascina le democrazie su un piano inclinato verso l'ipocrisia e la violenza sistemica.
La domanda cruciale non è se Israele sia colpevole o innocente, ma se l'Occidente potrà continuare a sostenerlo senza pagare un prezzo politico, morale e storico sempre più alto.
Fonti:
ABC News – The history of US support for Israel runs deep, with a growing chorus of critics
Reuters – US slams UN conference on Israel-Palestinian issue, warns of consequences
MR Online – Why does the U.S. support Israel? A geopolitical analysis
Brookings – American attitudes on the Israeli-Palestinian conflict
Brookings – Testing the ''Israel lobby'' thesis
Brookings – Is the Israel-Gaza war changing US public attitudes?
Wikipedia – Israel–United States relations
Wikipedia – AIPAC
Wikipedia – Iron Dome
-----
Vedi anche: ISRAELE BOMBARDA L'IRAN: E ORA?
|