Poverta' in Italia - Quasi 6 Milioni i Poveri Assoluti mentre il Governo pensa al RIARMO

Fonte: Boorp
Pubblicato il: 20/10/2025
Categoria: POLITICA
La povertà in Italia è un fenomeno che, negli ultimi anni, ha assunto proporzioni sempre più gravi e strutturali. Non si tratta più di una questione marginale o confinata ad alcune aree svantaggiate del Paese, ma di una realtà diffusa che coinvolge milioni di famiglie in ogni regione. Dietro ai numeri si nascondono volti, storie, difficoltà quotidiane: anziani che non riescono a pagare le bollette, giovani famiglie costrette a rinunciare a spese essenziali ...

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... bambini che crescono in contesti privi di opportunità educative adeguate.

L'Italia è oggi uno dei Paesi europei con il più alto tasso di povertà relativa e assoluta. Nonostante la crescita economica sia stata stagnante per oltre vent'anni, la politica sembra più impegnata a spostare l'attenzione pubblica su temi simbolici e ideologici piuttosto che affrontare le cause profonde di questo dramma sociale. Questo articolo analizza i numeri della povertà, spiega perché i governi recenti — incluso quello attuale — non hanno messo in campo politiche realmente efficaci, e mostra come enormi risorse vengano invece dirottate verso priorità discutibili come il riarmo europeo, campagne ideologiche e scelte che spesso rispondono più a logiche esterne che a esigenze interne.

I numeri della povertà in Italia: un'emergenza strutturale


Secondo i dati ufficiali, la povertà assoluta coinvolge oggi circa il 9% delle famiglie italiane, pari quasi 6 milioni di persone. Questo significa che milioni di cittadini non riescono a permettersi beni e servizi considerati essenziali: dal riscaldamento adeguato alla spesa alimentare minima, dal pagamento dell'affitto alle cure mediche di base. La povertà relativa, che misura invece la difficoltà a mantenere un tenore di vita paragonabile alla media della popolazione, coinvolge percentuali ancora più elevate.

Un dato particolarmente allarmante riguarda i minori: oltre 1,4 milioni di bambini vivono in condizioni di povertà assoluta. Questo non è solo un problema di giustizia sociale, ma anche un gigantesco freno allo sviluppo futuro del Paese. I bambini poveri hanno minori opportunità educative, peggiori condizioni di salute e, statisticamente, più probabilità di restare intrappolati nella spirale della povertà anche da adulti.

Un Paese diviso: Nord e Sud si allontanano sempre di più


La povertà non è distribuita in modo uniforme. Il Mezzogiorno concentra circa il 45% della popolazione povera italiana, nonostante ospiti poco più di un terzo degli abitanti del Paese. In molte regioni meridionali, la percentuale di famiglie in povertà assoluta supera il 12%. Questo dato racconta di un'Italia sempre più spaccata in due: un Nord con livelli di reddito e servizi più elevati (anche se con crescenti sacche di disagio) e un Sud dove le opportunità mancano, la disoccupazione è cronica e le infrastrutture sociali sono carenti.

Questa frattura territoriale è una delle principali cause del rallentamento economico nazionale. L'assenza di politiche strutturali efficaci per colmare il divario tra Nord e Sud non solo alimenta la povertà, ma riduce anche il potenziale di crescita complessivo. Eppure, nonostante l'evidenza dei dati, i governi continuano a rimandare riforme serie e investimenti mirati, preferendo interventi spot e bonus temporanei.

L'effetto delle crisi recenti: pandemia e inflazione


Negli ultimi anni, la situazione è ulteriormente peggiorata a causa di due fattori principali: la pandemia di Covid-19 e l'impennata inflazionistica. La pandemia ha colpito duramente i settori a bassa retribuzione e a maggiore precarietà, come il turismo, la ristorazione e i servizi alla persona. Molti lavoratori con contratti atipici hanno perso il reddito da un giorno all'altro, senza tutele adeguate.

Successivamente, l'aumento dei prezzi dell'energia e dei beni di consumo, in parte legato al contesto internazionale e alle tensioni geopolitiche, ha ridotto ulteriormente il potere d'acquisto delle famiglie. Chi già viveva al limite si è trovato costretto a tagliare spese fondamentali, e anche molti appartenenti al ceto medio hanno iniziato a sperimentare difficoltà crescenti. La povertà, dunque, non è più un problema ''degli altri'': è diventata un rischio concreto per una porzione sempre più ampia della popolazione.


Politica distratta: perché il governo ignora la povertà e guarda altrove


Mentre milioni di cittadini italiani affrontano quotidianamente la povertà e la precarietà, l'agenda politica nazionale sembra dominata da temi molto diversi. Le priorità del governo includono campagne ideologiche contro fenomeni culturali marginali, investimenti miliardari nel settore della difesa e una retorica sovranista che, nei fatti, si traduce spesso in una subordinazione alle strategie statunitensi ed europee.

La corsa al riarmo europeo: miliardi per una minaccia incerta


Negli ultimi anni, l'Italia ha aumentato significativamente la spesa per la difesa. Una parte consistente di queste risorse è destinata all'ammodernamento degli arsenali e all'acquisto di sistemi d'arma di fabbricazione statunitense, in linea con le richieste della NATO. La motivazione ufficiale è la necessità di rafforzare l'Europa contro la ''minaccia russa'', ma la realtà è più complessa.

La Russia ha più volte dichiarato di non avere intenzione di attaccare Paesi appartenenti alla NATO. Al di là delle dichiarazioni, l'equilibrio militare e la deterrenza nucleare rendono un'aggressione diretta a un Paese NATO altamente improbabile. Tuttavia, la spesa militare continua a crescere, sottraendo risorse a settori cruciali come welfare, scuola, sanità e politiche per la casa.

Molti analisti ritengono che questa corsa al riarmo sia funzionale non tanto alla difesa europea, quanto al sostegno dell'industria bellica statunitense e a rafforzare l'integrazione militare sotto comando NATO. In altre parole, miliardi di euro italiani finiscono per finanziare l'economia di altri Paesi, mentre i problemi sociali interni restano irrisolti.

La distrazione ideologica: il ''pericolo woke'' come diversivo politico


Un altro aspetto rilevante è la centralità nel dibattito pubblico di temi ideologici che, in Italia, hanno un impatto estremamente limitato. Un esempio emblematico è la retorica contro il cosiddetto ''pericolo woke'', un concetto importato dal dibattito statunitense. Esponenti di governo e di partiti di destra dedicano tempo e risorse a denunciare presunti complotti culturali o ''degenerazioni ideologiche'' che avrebbero contaminato scuole e università, nonostante manchino dati concreti che mostrino un impatto significativo di tali fenomeni nel contesto italiano.

Questa strategia comunicativa ha due effetti principali:

- Sposta il dibattito pubblico lontano da temi scomodi come povertà, lavoro precario, accesso ai servizi;

- Consolida il consenso presso segmenti elettorali sensibili a questioni identitarie, rafforzando un clima di polarizzazione politica.

Nel frattempo, i problemi strutturali del Paese restano sullo sfondo, spesso ignorati sia dai media che dalle istituzioni.


Fuga di cervelli e attrazione di manodopera poco qualificata


Un altro elemento centrale nella dinamica della povertà italiana è la combinazione di due tendenze: l'emigrazione di giovani altamente qualificati e l'immigrazione di persone con bassi livelli di istruzione. Ogni anno, decine di migliaia di laureati italiani lasciano il Paese in cerca di migliori opportunità lavorative e retributive all'estero. Allo stesso tempo, l'Italia accoglie un numero crescente di migranti provenienti da contesti poveri, spesso con scarse competenze linguistiche e professionali.

Questa dinamica produce due effetti:

- indebolisce la base produttiva e innovativa del Paese, privandolo di capitale umano prezioso;

- alimenta segmenti della popolazione che rischiano di trovarsi in condizioni di marginalità economica, con conseguente aumento della povertà e, in alcuni casi, della microcriminalità.

Si tratta di un problema strutturale di lungo periodo, che richiederebbe politiche attive per trattenere i talenti, attrarre persone altamente qualificate e favorire l'integrazione socio-economica dei migranti. Tuttavia, queste politiche non sembrano essere una priorità.


Perché la politica ignora la povertà: interessi, narrazioni e priorità distorte


La domanda che ci si pone è semplice ma cruciale: perché, di fronte a oltre 5,7 milioni di persone in povertà assoluta (dati ISTAT 2024), le istituzioni non mobilitano risorse e politiche adeguate? La risposta non è univoca: è il risultato di una combinazione di vincoli economici, scelte politiche, dinamiche di consenso elettorale e vincoli geopolitici.

1) Spesa per la difesa e priorità nazionali: numeri e meccanismi


Negli ultimi anni l'Italia ha aumentato in modo significativo la spesa per la difesa. Secondo le fonti ufficiali e gli osservatori indipendenti, nel 2024 la spesa per la difesa secondo la definizione NATO è stata nell'ordine di circa 31–32 miliardi di euro, pari a circa l'1,5% del PIL. Questo salto non è un fenomeno isolato, ma il risultato di impegni multilaterali (NATO, iniziative UE) e di scelte politiche nazionali orientate all'ammodernamento degli strumenti militari.

Questa maggiore spesa si traduce in due effetti immediati sul piano interno:

- sottrazione di risorse disponibili nel bilancio dello Stato che, in condizione di vincoli di spesa e deficit controllato, riduce la capacità di finanziare ampliamenti significativi del welfare e programmi strutturali anti-povertà;

- rafforzamento di relazioni industriali e geopolitiche che legano parte della produzione militare italiana ai grandi gruppi stranieri e alla filiera degli equipaggiamenti, con conseguenze sul tipo di ritorno economico per il Paese (talvolta maggiore attività produttiva ma non sempre benefici diffusi per le fasce più povere).

Semplificando: ogni incremento forte della spesa militare è una scelta di priorità. È una scelta che il governo può motivare come necessaria per la sicurezza collettiva — e in parte lo è — ma che ha anche costi sociali chiari se non accompagnata da contropartite redistributive o politiche di welfare adeguate.

2) Perché la spesa va spesso a sistemi d'arma esteri o a catene di fornitura internazionali


Una parte rilevante degli acquisti di sistemi d'arma proviene da forniture estere, in particolare statunitensi, per varie ragioni pratiche e politiche:

- interoperabilità: le forze armate italiane operano congiuntamente a partner NATO; l'acquisto di piattaforme compatibili facilita l'interoperatività nelle missioni congiunte;

- lobby e relazioni diplomatiche: accordi bilaterali, offset industriali e pressioni geopolitiche orientano le scelte di procurement;

- capacità produttiva nazionale limitata in alcuni settori ad alta tecnologia, portando a importare sistemi chiave.

Il risultato è che una quota significativa dei bilanci destinati all'ammodernamento finisce per sostenere aziende straniere o filiere globali, con un impatto meno diretto sulle economie locali e, soprattutto, scarso effetto redistributivo per chi vive in condizioni di povertà. In un contesto in cui il governo dichiara attenzione alla sovranità, questi flussi di spesa spesso rivelano dipendenze strutturali e obblighi di alleanza che vanno oltre la dimensione nazionale.

3) Politiche simboliche, consenso e distrazione: il caso delle ''battaglie culturali''


Una parte non trascurabile dell'agenda politica contemporanea si alimenta di temi identitari e culturali: ''pericolo woke'', lotte simboliche contro certi orientamenti culturali, narrativi sul ''decoro'' e sulla ''difesa dei valori tradizionali''. Questi argomenti funzionano spesso come strumenti di costruzione del consenso perché:

- sono immediatamente riconoscibili dall'elettorato e permettono una narrativa semplice e polarizzante;

- creano un nemico percepito (reale o simbolico) su cui concentrare l'attenzione mediatica senza affrontare problemi strutturali complessi e costosi;

- consentono di occupare lo spazio pubblico con questioni che richiedono interventi minimi ma producono alta risonanza politica.

Il rischio è che temi secondari dal punto di vista delle conseguenze materiali finiscono per assorbire tempo politico, risorse di comunicazione e legittimazione pubblica, mentre le questioni sistemiche come la lotta alla povertà restano in secondo piano.


4) Incentivi elettorali e temporalità politica


I governi moderni ragionano anche in termini di cicli elettorali e incentivi di breve periodo. Due conseguenze pratiche emergono:

- Politiche redistributive profonde e strutturali richiedono tempo, riforme fiscali, investimenti e spesso impatti redistributivi che sfuggono ai benefici immediati dell'elettorato. Questo sfasamento temporale riduce l'attrattiva di riforme coraggiose per i decisori politici;

- Interventi a basso costo politico ma ad alto ritorno mediatico (bonus, leggi simboliche, campagne di comunicazione) sono più appetibili per chi cerca di consolidare consenso rapidamente.

Di conseguenza, l'azione governativa tende a privilegiare misure che rafforzano il ''termometro politico'' immediato, invece di intraprendere politiche di lungo periodo necessarie a ridurre la povertà strutturale.

5) La contraddizione del ''sovranismo'' che serve interessi esterni


Nel dibattito pubblico si parla spesso di ''sovranismo'' per descrivere governi che rivendicano autonomia decisionale rispetto a istituzioni sovranazionali. Tuttavia, nella pratica, la parola ''sovranismo'' nasconde una realtà più complessa:

- molte scelte di politica estera e militare sono vincolate dagli impegni assunti nell'ambito NATO e UE, oltre che da rapporti bilaterali con partner strategici come gli Stati Uniti;

- la dipendenza tecnologica e la necessità di interoperabilità spingono verso acquisti esterni e alleanze industriali;

- i risultati concreti per la sovranità economica nazionale sono spesso modesti se le scelte non sono accompagnate da piani industriali e investimenti mirati a costruire capacità nazionali.

Così, un governo che si definisce ''sovranista'' può finire per praticare politiche che rafforzano l'integrazione militare e gli interessi di partner esterni, senza che questo si traduca in benefici tangibili per i ceti popolari o per la capacità produttiva diffusa del Paese.

6) Migrazioni, fuga di cervelli e composizione sociale: dinamiche che aggravano la povertà


L'Italia sta sperimentando una dinamica di lungo periodo che combina:

- emigrazione costituita in buona parte da giovani laureati e figure altamente qualificate in cerca di opportunità migliori all'estero (fuga di cervelli);

- arrivo di flussi migratori composti spesso da persone con livelli di istruzione e qualificazione più bassi, che si inseriscono nei segmenti occupazionali meno remunerati o nell'economia informale.

Questa ricombinazione sociale produce più effetti negativi che benefici immediati:

- perdite di capitale umano che riducono la capacità di innovazione e competitività dell'economia italiana;

- crescita di segmenti sociali a bassa produttività e basso reddito che richiedono maggiori interventi sociali;

- tensioni sociali e percezioni di competizione per risorse scarse (lavoro, alloggi popolari, servizi).

Affrontare la povertà in modo efficace richiederebbe politiche integrate che incentivino il ritorno o la permanenza dei talenti (opportunità professionali, stipendi competitivi, carriere nella ricerca e nelle imprese) e contemporaneamente programmi di integrazione economico-sociale per i nuovi arrivati, puntando sulla formazione e sull'accesso al lavoro di qualità.

7) Le ragioni economiche dietro la mancata azione: bilancio, tasse e rigore


Un altro livello di spiegazione è strettamente finanziario e istituzionale. Le scelte di spesa pubblica sono vincolate da:

- regole di finanza pubblica e pressioni per mantenere il deficit e il debito sotto controllo;

- limitata capacità di aumentare rapidamente la pressione fiscale senza ripercussioni sulla crescita economica;

- necessità di mantenere attrattività per investimenti privati, elemento spesso citato a giustificazione di politiche fiscali più favorevoli alle imprese.

Questi vincoli rendono politicamente e tecnicamente complesso lanciare programmi di spesa sociale massicci, sostenuti da aumenti strutturali della fiscalità o da tagli ad altre voci considerate ''strategiche'' (come la difesa, nel contesto attuale).

8) L'incidenza delle politiche precedenti: quali errori correggere


Negli ultimi anni alcune politiche concepite per attenuare la povertà hanno avuto effetti limitati o temporanei:

- strumenti temporanei come bonus e sussidi una tantum attenuano il problema ma non lo risolvono in modo strutturale;

- la riforma di sostegni diretti al reddito è stata parzialmente smantellata o riformulata, con una platea più ristretta di beneficiari rispetto ad anni precedenti;

- mancano percorsi integrati che connettano sostegno economico a politiche attive del lavoro, formazione, accesso alla casa e servizi socio-sanitari.

Per rendere le politiche efficaci servono interventi coordinati e di medio-lungo periodo, non solo provvedimenti tampone.


9) Cosa c'è sotto ai soldi spesi per le armi: economia, lobby e geostrategia


Dietro ogni miliardo speso per la difesa ci sono interessi economici e strategicità geopolitiche. Alcuni punti chiave:

- Appalti militari e offset: gli acquisti comportano spesso accordi industriali che possono includere trasferimenti tecnologici, partecipazione a catene globali e programmi di co-produzione; questi meccanismi favoriscono alcune aree industriali ma non generano automaticamente crescita redistributiva diffusa.

- Lobby e rapporti bilaterali: industrie della difesa e contractor internazionali svolgono attività di lobby e costruiscono relazioni con decisori politici; questo contesto influenza le scelte di procurement e le priorità di spesa.

- Impegni strategici: l'Italia partecipa a missioni internazionali e a piani di rafforzamento collettivo; questo vincolo strategico legittima parte della spesa ma non spiega da solo le scelte di aumento se non accompagnate da una visione complessiva di sicurezza nazionale che integri il benessere sociale.

Il punto politico è che la spesa per la difesa è necessaria in una certa misura, ma bisogna domandarsi se gli aumenti siano proporzionati alla reale minaccia e se siano stati valutati trade-off concreti con politiche sociali alternative.

10) Perché la destra politica preferisce certi temi e non le misure anti-povertà


La scelta di focalizzarsi su temi come immigrazione, identità culturale e presunte minacce ideologiche riflette una strategia politica razionale dal punto di vista del consenso:

- questi temi mobilitano elettori chiave a costi relativamente bassi;

- permettono di differenziarsi dai concorrenti politici su questioni simboliche, ottenendo visibilità e mobilitazione;

- evitano l'impegno su riforme fiscali redistributive che potrebbero allontanare segmenti dell'elettorato più ricchi o le élite economiche.

La conseguenza è che, pur proclamando attenzione ai bisogni dei ''cittadini'', certe forze politiche spesso privilegiano politiche che producono consenso simbolico piuttosto che impatti materiali sulla povertà.


11) Come potremmo ripensare le priorità: proposte concrete


Per invertire la tendenza e mettere la lotta alla povertà al centro dell'agenda nazionale servirebbero misure ambiziose e coordinate. Qualche proposta pragmatica e realizzabile:

- rendere strutturale un reddito di base o redditi di ultima istanza ben disegnati e collegati a percorsi di reinserimento lavorativo e formazione;

- investire in politiche abitative pubbliche per ridurre la spesa delle famiglie in affitto e contrastare la precarietà abitativa;

- finanziare l'istruzione e la formazione tecnica per creare percorsi di occupazione qualificata sul territorio, puntando soprattutto al Sud e alle aree deindustrializzate;

- incentivi per il ritorno dei cervelli: contratti di ricerca competitivi, start-up grant, politiche fiscali temporanee per professionisti che tornano in Italia;

- revisione strategica della spesa per la difesa, identificando aree di effettiva necessità e potenziali economie di scala, destinando risorse risparmiate verso il welfare e gli investimenti produttivi;

- politiche migratorie attive che non limitino ma valorizzino l'integrazione: formazione linguistica, riconoscimento dei titoli e percorsi certificati di inserimento nel mercato del lavoro.

Queste misure richiedono volontà politica e un salto di responsabilità nazionale: non si tratta solo di spendere di più, ma di spendere meglio, con efficacia e targeting.

12) Conclusione: scelta tra narrazione e responsabilità


La scelta che l'Italia è chiamata a compiere è tra due strade incompatibili nel lungo periodo. La prima è la strada della politica simbolica, dell'agenda mediatica e del rafforzamento degli interessi strategici a breve termine: attrattiva per consenso immediato ma incapace di affrontare la radice dei problemi sociali. La seconda è la strada delle riforme strutturali: richiede coraggio, investimenti mirati e una visione di lungo periodo che metta al centro la dignità dei cittadini e la sostenibilità sociale dell'economia.

I dati ISTAT mostrano chiaramente che la povertà in Italia è un problema reale, stabile e difficile da risolvere con misure tampone. Occorre una decisione politica netta: o continueremo a tollerare che miliardi passino attraverso stanziamenti che non riducono la sofferenza sociale, o costruiremo un'agenda in cui la sicurezza economica dei cittadini e la coesione sociale siano parte integrante della definizione di sicurezza nazionale. La coerenza tra parola e politica sarà la chiave: senza di essa, il termine ''sovranismo'' rischia di diventare un'etichetta vuota, mentre chi soffre rimane ai margini.

Ringraziamenti e invito all'analisi critica


Questo articolo non pretende di offrire tutte le risposte, ma di mettere in fila dati, logiche e priorità per consentire una discussione informata. I numeri e le dinamiche su cui si basa l'analisi sono desumibili da fonti ufficiali e da reportage economici; chiunque desideri approfondire può consultare i documenti statistici e i dossier di politica economica che analizzano spesa pubblica, povertà e strategie di difesa.

ISTAT - La povertà in Italia, Anno 2024 (PDF)

ISTAT - Comunicato stampa: La povertà in Italia - Anno 2024

Pagella Politica - Quanto costa all'Italia l'aumento della spesa militare

Corriere - Il piano Difesa UE: chi pagherà il riarmo?

Reuters - Poverty in Italy hits new high despite economic recovery

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